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L’agonismo può essere dannoso?

abbandono sport

Lo sport non è vincere la partita ma è mettersi in gioco ogni volta con passione. Karin Knapp, ex campionessa di tennis che ha fondato la sua carriera sulla capacità di superare gli ostacoli ha affermato che “nel tennis, se tutto va bene, puoi vincere un torneo al mese, che significa che almeno una volta alla settimana puoi perdere una partita: è naturale affrontare un percorso in mezzo al quale ci saranno delle sconfitte.”

Per Andrea Bargnani, campione NBA, le vittorie sono pochi giorni della vita di un atleta, sono ciò che gli altri vedono, il carattere, che con l’allenatore si è imparato a costruire negli anni, è quello che ti fa vincere tutti i giorni, nella vita.

Le testimonianze di questi grandi campioni sono utili per tanti ragazzi e per mamme e papà a capire che lo sport non è il semplice risultato ma è fatto d’altro: amici che si conoscono lungo il percorso, gli insegnamenti di vita che solo un allenatore che sia anche educatore può dare e/o riuscire a far comprendere ai nostri ragazzi, uno strumento di vita sana per prevenire molte patologie tumorali, cardiovascolari insieme a quelle legate all’obesità.

Quando lo sport si riconduce esclusivamente al risultato, allora l’agonismo può diventare, se non nocivo, controproducente, soprattutto per i più piccoli che perdono la dimensione del gioco e del divertimento che dovrebbe accompagnare l’esperienza sportiva di ogni ragazzo. Aspettative agonistiche troppo alte sia da parte dell’allenatore sia da parte dei genitori possono indurre i ragazzi anche ad abbandonare lo sport che amano. In fondo lo sport è gioco e il suo apprendimento passa attraverso il divertimento: quando non si vede più un bambino o un ragazzo ma solo un talento da esibire, un trofeo da collezionare, il ragazzo che si sente sommerso precocemente da troppi impegni, può abbandonare.

Come evitare che l’agonismo diventi un boomerang

Spesso le società sportive sono interessate solo a scovare talenti e gli interessi societari diventano predominanti rispetto a quelli del ragazzo talentuoso. Così si rischia di bruciare un talento che, se decide di abbandonare, potrebbe perdere tutti i benefici che lo sport porta con sé insieme alla perdita per il sistema sportivo di talenti inespressi.

Quando l’agonismo può far male allo sport? Quando troppo precocemente il ragazzo viene trattato come un adulto professionista: sembra che mettere troppo l’accento sulla competizione non premia perché è sbagliato chiedere ai ragazzini di fare allenamenti sempre più intensi e frequenti, o chiedergli di partecipare troppo precocemente alle gare.

L’agonismo può far male anche quando sono i genitori a interferire in modo eccessivo alimentando nei ragazzi illusioni e aspettative irrealistiche e anche molte delusioni, di conseguenza.

Quando, insomma, prevalgono gli interessi degli adulti nello sport dei più piccoli e l’agonismo non è più un insegnamento positivo, la competizione non è più un valore di lealtà e rispetto per l’avversario ma fa rima con la paura di perdere, l’angoscia di non farcela, a cui segue la frustrazione per ogni sconfitta che, come abbiamo visto, in realtà, fa parte del gioco: non c’è vittoria senza sconfitta.

Come si può creare un vivaio di talenti che siano anche felici, soddisfatti oltre ad eccellenti atleti? La chiave è nella tipologia di centro sportivo che deve favorire l’aspetto ludico e ricreativo e nell’allenatore che deve porsi prima di tutto come educatore. Molti istruttori a contatto con i ragazzi sono incompetenti da questo punto di vista.

Quando scegli un corso di tennis o nuoto o calcio o quant’altro per tuo figlio ricorda che il rapporto con l’allenatore è importante: non preoccuparti, se è anche un bravo educatore te ne accorgerai perché sarà in grado di crescere un ragazzo felice, entusiasta di tornare alla sua lezione sempre più spesso, il prima possibile!